sabato 23 maggio 2009

Tra definizione e distinzione

II- Il concetto di distinzione

Nel post precedente avevamo iniziato ad introdurre la questione relativa ad una possibile definizione dell'arte, senza però andare oltre a qualche semplice accenno. E si era detto altresì che, prima di affrontare seriamente un problema di quel genere, era necessario specificare la differenza fra definizione, da un lato, e distinzione dall'altro. Ma, ci si domanderà, ora qual'è la necessità di tutto ciò?

Ci sono, sicuramente, motivazioni in ordine di ermeneutica; e una buona interpretazione (così come un buon metodo interpretativo) è la base per definizioni di questa sorta. E' necessario, infatti, prima di dire che cos'è un'opera d'arte, capire che essa- l'opera, per l'appunto- non è una cosa in generale, un ente comune a tutti gli altri, ma è un'opera. Ora, sapere quali condizioni determinino che un pezzo d'arte sia differente rispetto ad un oggetto qualsiasi, non è ancora dato comprenderlo; sarà argomento di una prossima pubblicazione. Certo, però, è importante sapere- a livello basilare- che, una cosa è dire "arte", un'altra cosa è dire "oggetto comune".
Ecco, allora, spiegato il concetto di distinzione, che, in tal senso- e nel nostro caso specifico- significa concepire la differenza fra cosa e arte.
In questo senso, poi, operare una distinzione nella definizione delle cose è un buon modo per ordinare gli enti costituenti il nostro mondo. Giocoforza, qui è necessario più che mai, sapere che una cosa è quella e non può esserne altre contemporaneamente; e se si pensasse in questa maniera si rischierebbero di fare delle grosse confusioni. Nel caso specifico dell'arte, poi, è necessaria operare una differenza per poter, in questo modo, garantire uno statuto ontologico adeguato alle opere d'arte. Se così non fosse- ovvero: se questa differenza non venisse operata- si correrebbe il rischio di considerare ogni cosa un'opera d'arte: ed è risaputo che, se consideri una cosa uguale alla altre, la confusione non ci permette di fare distinzioni- e questo va detto anche in ragione del fatto che, se tutto è uguale a tutto, allora niente è uguale a niente e tutto equivale a dire nulla. Questa considerazione appena fatta vuol anche essere una critica alla concezione dell'arte elaborata dal ready-made: tale corrente- nata agli inizi del XX secolo ad opera dell'artista francese dadaista Marcel Duchamp- arriva a sostenere che un qualsiasi oggetto della vita quotidiana può diventare un'opera d'arte. E infatti, Duchamp, nel 1917, prese un orinatoio da stazione, lo trasferì in un museo e gli diede il nome di "Fontana". A questo punto sorge spontaneo chiedersi: per quale legge strana della logica, quell'oggetto che prima era un orinatoio è potuto diventare un'opera d'arte?
Ci sono, ovviamente, molti fattori che possono differenziare una cosa normale da un'opera, fattori come ad esempio la collocazione (un museo, una fondazione) o la creazione (l'artista che l'ha prodotta), e tutto ciò verrà discusso in seguito. Quello che si deve dire ora è che non tutto può diventare un oggetto artistico.
Inoltre va detto che nel ready-made si viene a fare un discorso di transustanziazione: un oggetto qualsiasi (mettiamo, ad esempio, un tostapane) diventa improvvisamente (ipso facto), per chi sa quale principio, un'opera d'arte. Ma, come si è già detto, un discorso come quello fatto dal ready-made (che, letteralmente, si potrebbe tradurre con le parole "improvvisamente", "detto-fatto"), il quale porta a considerare ogni cosa un oggetto d'arte, crea una gran confusione, con il risultato niente è più definibile opera.
Fatta questa precisazione sulla questione della distinzione, dobbiamo ritornare sui "nostri passi" nel ricercare di determinare la definizione di opera d'arte. Ma ciò che stiamo facendo noi non è, certamente, il primo l'ultimo tentativo di affrontare la cosa; è dunque necessario fare un ulteriore passo prima di approdare al problema centrale ed andare a vedere se, nella storia dell'Estetica, ci sia stato o meno un tentativo (o più tentativi) di definire un'opera d'arte. Ecco, allora, che il nostro prossimo punto sarà quello di trattare- per sommi capi- la storia dell'Estetica al fine di ricercare una storia della definizione di opera d'arte.

mirko ferrua

mercoledì 20 maggio 2009

questioni d'arte

I- Il problema della definizione. Questioni preliminari.

Con questo primo post vorrei introdurre il problema che occuperà le prossime pagine di questo blog. Si tratta di affrontare la questione della definizione di opera d'arte. Anche se, apparentemente, potrebbe sembrare un discorso melenso, in realtà rappresenta un quesito molto fondamentale nella nostra vita, nel nostro modo di rapportarci alle cose e, in questo caso, alle opere d'arte.
Che cos'è, infatti un'opera d'arte? Che tipo di oggetto è un oggetto d'arte? Con quale diritto noi possiamo dire che quell'oggetto lì- quel determinato oggetto che ci si pone davanti- è un'opera d'arte? Che cosa distingue un oggetto comune da un'opera d'arte? Fino a che punto intercorre la differenza fra cosa e opera?
Sono solo queste alcune delle questioni che intendo affrontare nel problema generale di una definizione dell'arte.
Perché definire un qualcosa non è sempre un semplice affare; e tanto meno quando si tratta di designare lo statuto ontologico di un oggetto artistico.
In merito alla cosa, poi, sono state date, nel corso della storia dell'estetica filosofica, molte teorie e molte idee tra di loro alternativamente opposte. Gli stessi due corni della Filosofia- da una lato l'analitica e, dall'altro, la continentale- hanno proposto metodi risolutivi variegati e differenti.
C'è chi, come la filosofia analitica, vede nell'opera solo un oggetto che assume un determinato statuto ontologico: in questo senso un'opera d'arte non sarebbe nient'altro che una cosa normale come tutte le altre a cui vengono riconosciute determinate caratteristiche e che verrà interpretata destituendola di tutte quelle caratteristiche che la fanno essere ciò che è- risolvendo così la questioni in termini molto analitici, molto "matematici". C'è poi chi (e qui il riferimento è all'approccio continentale) non crede di poter risolvere totalmente la questione attraverso una logica analitica- di stampo puramente scientifico- e vuole tentare di capire quanto possa incidere l'aspetto emotivo e spirituale nella creazione di un'opera d'arte. Questo è, ad esempio, il metodo messo in atto dall'estetica psicoanalitica (di stampo continentale), la quale pensa all'arte come alla sublimazione (alla rappresentazione) degli istinti pulsioni della psiche umana.
Questa è solo un'introduzione molto generale del problema e dei possibili modi di affrontarlo; certamente nel corso delle pubblicazioni si esplicheranno e si approfondiranno molti concetti e molti aspetti qui solo accennati. Va anche detto che, nonostante ci siano questi due approcci generali di affrontare il problema, non si devono assumere atteggiamenti estremistici i quali porterebbero ad un riduzionismo troppo marcato- con il rischio appunto, di ridurre la cosa a solo "oggetto fisico" misurabile e comprensibile (e mi riferisco agli analitici estremisti) o a oggetto ideale, astratto e incomprensibile perché espressione spiritualmente superiore (e faccio riferimento ai continentali estremisti). Si deve, allora, cercare di affrontare il problema tenendo conto di un approccio olistico, senza lo scarto di nessuna alternativa.

Fatta questa piccola digressione, ritorniamo alla questione centrale del nostro problema, ovvero: che cos'è un'opera d'arte? Tale questione sarà la "protagonista" delle nostre prossime riflessioni.
Ma, prima di affrontare tale aporia, si devono tenere presenti alcune considerazioni; quindi, non arriveremo subito a parlare di "definizione" e il nostro prossimo punto tratterà la questione della "distinzione" intercorrente fra ente ed opera.

mirko ferrua

Le ragioni di una scelta

Perché chiamarsi "il perturbante"? Che cosa intendere con ciò? L'ispirazione arriva dal padre della psicoanalisi, Sigmund Schlomo Freud, il quale, nel 1919, pubblica, sulla rivista Imago un saggio dal titolo Il perturbante (Das Unheimliche), frutto di un'elaborazione che era avvenuta negli anni precedenti, e che non troverà esaurimento nello scritto, ma continuerà nelle riflessioni future.

Ma, detto questo, non abbiamo ancora risposto alla domanda, ovvero non abbiamo ancora chiarito il senso del "perturbante". Esso rappresenta la nostra parte inconscia, la sede delle nostre pulsioni (sessuali e violente) e dei nostri istinti più latenti; è il luogo dove la vera natura dell'inconscio umano si fa presente. E proprio perché esso è simbolo di tutto ciò diventa un qualcosa di perturbante, ovvero un qualcosa che ci turba. Ma la parola, nella sua accezione e nel suo senso tedesco assume una molteplicità di significati e rende molto più esplicita la parola. Infatti "unheimliche" è il negativo (l'opposto) della parola "heimlich", la quale significa una molteplicità di cose, tra le quali casa, luogo abitativo, familiarità, sicurezza, tranquillità, ecc. Ne consegue che il senso della parola ad essa opposta sarà relativo ad un qualcosa di estraneo alla familiarità e alla sicurezza- un qualcosa che ci turba, che è perturbante. Sempre nel saggio, citato Freud argomenta in maniera molto precisa ed accurata la spiegazione del termini- facendo anche delle comparazioni linguistiche. Il concetto di "perturbante" verrà, poi, anche ripreso rielaborato anche da tutti quegli allievi che poi prenderanno le distanze da Freud- si vedrà, a titolo di esempio, il concetto di "perturbante kleiniano", sviluppato dalla scuola di Melanie Klein.

C'è poi un altro significato del concetto di "perturbante", del tutto personale (credo) e non corroborato da tesi avvalorate (e credo anche questo): esso-il "perturbante"- è una sorta di "cappello" (un turbante) che sta sopra la nostra testa, proprio sopra alla psiche ed è la sede di tutte le nostre problematiche ed i nostri disturbi psichici. Esso è un turbante, un copricapo intrecciato; cossichè questo intreccio rappresenta il mescolarsi ed il confondersi confusionato di tutte queste nostre pulsioni.
Questa mia interpretazione sorge anche da un libro, che io studiai l'anno scorso; un libro scritto dalla Klein e dai kleiniani, il quale ha sulla copertina un personaggio che porta un turbante come copricapo. Forse, di primo acchito, potrebbe parere un'interpretazione melensa; ma, a parer mio, un fondamento c'è.

Ecco, allora, spiegato il senso del nome. Ora bisogna cercare di contestualizzarlo al blog.

La serie di pubblicazioni che verranno di volta in volta esposte vogliono essere (senza nessuna pretesa) una sorta di riflessione di carattere filosofico su alcuni argomenti, affrontati con un taglio psicoanalitico (che non farà solo riferimento a Freud, ma anche alla scuola freudiana quindi a Jung, Klein, Jones, ecc.).
Vorrei iniziare con una serie di riflessione sull'arte; in particolare, quello che mi preme trattare è la, quanto mai controversa, questione della definizione. Ma ho anche, è questo lo accenno già, altri argomenti da portare in discussione.
Augurandovi una buona lettura e la possibilità di poter discutere e dialogare insieme, auguro a tutti una buona lettura.

mirko ferrua

martedì 19 maggio 2009

"Festa della Filosofia"

Domenica 24 maggio, a partire dalle ore 14.30, avrà luogo la 4a edizione della Festa della Filosofia, presso i locali del Liceo Classico "Giusti", in collaborazione con l'Università degli Studi di Torino ed il Laboratorio Culturale interscolastico Quintiliano. Di seguito troverete tutte le informazioni utili ed il programma con i relatori e gli interventi tenuti. Tema del convegno di quest'anno è il mito.

mirko ferrua


FESTA DELLA FILOSOFIA 4a edizione

Coordinatore: Prof. Fulvio Salza, Università degli Studi di Torino

Dodici interventi sul Mito

Ore 14.30: Inizio lavori

Ore 15.00 - 16.30

Roberta Bussa, Corinna Desole
Mitico Harry Potter
L’eroe e il suo mondo tra mito, fiaba e filosofia

Dario Coppola
L'Ombelico del mondo
Il mito del Legame

Alessandro Croce
Solve et coagula
Metafore, narrazioni e miti della trasformazione di inizio millennio

Luca Debarbieri
La Revolución es eterna
Dal Che ai giorni nostri, l'America Latina fra mito e realtà

Fabrizio Boscaglia
Fernando Pessoa
Mito e tedio nel libro dell'Inquietudine

Sergio Costa, Fulvio Salza, Federico Tozzi
Mito e romanzo giallo
Fulvio Salza: Edipo era innocente?
Mito, verità e romanzo giallo

Ore 16,30: Pausa Caffè

ore 17.00 - 18.30

Mirko Ferrua
Religione e costruzione della società
Il Cristianesimo come mito di fondazione

Ferruccio Capra Quarelli
Familismo Amorale riflessioni su miti, figure e simboli dell'Ordine Violento

Valentina Martini, Roberto Lupis
Le palafitte e le nuvole Popper e la critica al mito della verità nella scienza e nella storia

Davide Trasparente
Mitologie estreme del nuovo millennio
Da Nexus a Youtube

Pino Menzio
Il mito della terra nella poesia di Nietzsche
Figure di un'etica post-metafisica

Sergio Costa, Fulvio Salza, Federico Tozzi
Mito e romanzo giallo
Sergio Costa: Fatti visibili con spiegazioni nascoste
L’importanza del ragionamento nel romanzo giallo
Federico Tozzi: Il delitto sotto casa
Nascita e fortuna del giallo regionale

Ore 19.30: Conclusione